Un sogno divenuto realta’
di Giovanni Morsiani
– articolo pubblicato nel giornalino di agosto 2005 –
Il riconoscimento mondiale FCI del Lagotto Romagnolo è un evento storico per tutta la cinofilia italiana, uno di quei momenti straordinari che rimarranno per sempre impressi nella memoria soprattutto di chi, come noi, ha avuto la fortuna e l’opportunità di vivere questa indimenticabile “avventura” fin dagli inizi.
In 123 anni di cinofilia ufficiale in Italia (l’ENCI, allora Kennel Club Italiano, fu fondato nel 1882) non era mai successo prima che una razza canina nazionale pervenisse al riconoscimento mondiale FCI partendo da zero. E noi, col Lagotto, siamo veramente partiti da zero, mentre la razza, totalmente sconosciuta a chi non fosse un vecchio romagnolo, stava per precipitare nell’abisso senza ritorno dell’estinzione.
Già in queste semplici, iniziali considerazioni, è contenuta la portata storica del fantastico risultato ottenuto dopo 28 anni di intenso e appassionato impegno in favore del piccolo “re dei boschi” della terra di Romagna.
Quante persone adesso vorrei ringraziare, quante mani vorrei stringere, come mi piacerebbe poter commentare con chi non c’è più questo magico momento. Le insormontabili barriere del tempo non hanno consentito a Lodovico Babini, a Francesco Ballotta, ad Antonio Morsiani, a Quintino Toschi, di prendere parte alla nostra gioia. Sono però sicuro che, Lassù, da qualche parte, seduti ancora una volta attorno ad un camino acceso sorseggiando un buon bicchiere di Albana passita, non potranno fare a meno di sorridere soddisfatti per l’incredibile successo ottenuto dalla loro “creatura” cinofila. Come non condividere, dunque, anche con questi grandi pionieri, la consacrazione mondiale della nostra razza.
Se penso a quanti anni sono passati, a quelle lunghe serate trascorse a ricostruire le linee di sangue della razza attraverso le vecchie storie dei tartufai, ad ascoltare le loro memorie intrise di sapore antico, a sorridere per le colorite descrizioni di questo o quel personaggio e delle doti, sempre messe in discussione o esaltate all’eccesso, di questo o quel cane. Fantastici racconti di gente umile ma genuina da cui trasuda e si ricompone la civiltà millenaria della nostra Terra. E il Lagotto sempre con loro, ausiliario prezioso nel lavoro di valle o del bosco e inseparabile compagno nella buona e nella cattiva sorte, come ci narrano le sbiadite vicende di quelle famiglie di scarriolanti romagnoli, i quali, rimasti senza lavoro al di qua dell’Appennino, andavano sul finire dell’800, con famiglia e cani al seguito, a cercar fortuna in terra di Toscana.
Il Lagotto si è salvato anche grazie a questa gente, a questi oscuri personaggi che la grande storia sempre dimentica, ma che rappresentano il tessuto connettivo di quel mondo rurale di cui il Lagotto è espressione purissima. Noi non li abbiamo dimenticati, siamo andati a ricercarli per ricostruire, attraverso i loro ricordi, la storia della razza, rimanendo nel solco rispettoso di quella tradizione secolare che ce l’ha tramandata. Un indispensabile punto di partenza per i miei lunghi anni di ricerche storiche nelle pieghe del folclore, del dialetto, di antiche vicende e fatti ormai lontani, magari appena accennati nelle pagine ingiallite di vecchi libri riemersi per un attimo dal buio di polverosi scaffali.
E poi i primi raduni, le prime, timide, presenze “fuori concorso”, quasi “chiedendo permesso”, nelle esposizioni ufficiali dell’ENCI. E poi ancora le misurazioni biometriche di mio padre, la stesura dello Standard, la fondazione del Club, Il Libro Aperto, il LIR, il primo tanto auspicato riconoscimento dell’ENCI, quello provvisorio della FCI (dieci anni fa), il mio libro sulla razza e, adesso, il raggiungimento della vetta, l’Everest della cinofilia. Un caleidoscopio di eventi, vicissitudini, sacrifici, discussioni anche aspre, gioie, dolori, delusioni, attese, rinunce, soddisfazioni. Più di un quarto di secolo durante il quale il Lagotto ha fatto breccia nei nostri cuori, si è creato un suo spazio importante fra le nostre passioni cinofile, è diventato “grande” assieme a noi. Ci ha aiutato a riscoprire le nostre tradizioni, lui espressione tipicissima di quella “civiltà di nicchia” che ha fatto del “made in Italy” una realtà apprezzata in tutto il mondo.
Tanti anni fa, quando guardai per la prima volta negli occhi un piccolo Lagotto (abituato com’ero ai grandi San Bernardo) ebbi subito la netta impressione che quel cane avrebbe fatto strada, perchè dietro gli occhi sognanti di quel piccolo cane traspariva un non so che di buono, di positivo, di allegro, si dipanava un lungo racconto di vecchie cucine col focolare sempre acceso, di odori di grano maturo portati dal vento, di caldi ed umidi sentori di stalla, di profumo di brodo la domenica, di levate all’alba con la galaverna che crocchia sotto i tuoi piedi, di nuotate nei guazzi vallivi, di estenuanti maratone su e giù per i pendii delle nostre montagne o lungo gli argini dei fossi e dei torrenti, laddove querce, tigli e pioppi regnano sovrani. E dove cresce quel prezioso frutto del sottosuolo chiamato “tartufo”.
Quell’impressione divenne certezza quando una sera, in televisione, vidi uno dei nostri più incalliti e “rustici” tartufai, come tanti altri inizialmente poco propenso ad “esibire” i cani in mostre di bellezza ufficiali, presentarsi in smoking col suo Lagotto ad uno dei più noti concorsi nazional-popolari di bellezza canina. Un’incredibile trasformazione, in qualche modo una legittimazione, cui il detto “dalle stalle alle stelle” bonariamente s’adatta.
Proprio in quest’ora, in cui a casa mia, con la scomparsa di mia madre, un lungo libro di storia familiare si chiude e un altro sta per aprirsi, il riconoscimento mondiale del Lagotto, tanto agognato, rende il momento per me meno doloroso, serve in qualche modo a riannodare dolcemente il filo di un discorso interrotto.
A questo punto desidero accomunare nel giubilo tutti i dirigenti ed i soci del CIL che, in questo lunghissimo periodo, si sono succeduti nel Club. Il clamoroso risultato ottenuto è la prova evidente che solo l’unità d’intenti, la determinazione, la forza di saper ricomporre e superare le discordie interne, sono la chiave di volta dell’attuale successo. Di cui tutti adesso si stanno giovando, a cominciare dal Ministro Alemanno, che ci onora e che ringraziamo per le sue espressioni di compiacimento. Si tratta naturalmente di un particolare motivo di orgoglio e di prestigio anche per l’ENCI, che ci fa molto piacere e che siamo ben felici di poter condividere con il nostro storico Ente. Condivisione e sostegno che anche la nostra delegazione provinciale ENCI Gruppo Cinofilo Ravennate ci ha sempre garantito in tanti anni.
Questo sentimento di compartecipazione ci avvicina particolarmente a tutti i clubs esteri del Lagotto, riuniti sotto la bandiera dell’U.M.LAG.
Un particolare, affettuoso ringraziamento e riconoscimento, desidero però riservarlo agli amici di sempre Nieves Lenzi Tirapani, Gilberto Grandi, Lucia Babini, Isabella Montevecchi e, “dulcis in fundo”, a mia moglie Dinora, che formarono il primo nucleo di studio e recupero della razza ed ai quali si devono le fondamenta di tutto il lavoro successivo. Gilberto Grandi, a lungo vice presidente del CIL e poi delegato dell’ENCI presso il CIL, è, sin dal primo riconoscimento ENCI, uno dei nostri più apprezzati giudici specialisti.
Parafrasando quanto ebbi modo di scrivere nel mio libro sulla razza, il riconoscimento mondiale della FCI è un giusto tributo ad un cane antico, un piccolo compagno di vita dal pelo ricciuto. La sua storia si fonde e si integra con quella degli usi e costumi della nostra regione. Per questo se un giorno vi capitasse di incrociare, nelle umide mattinate di autunno delle colline di Romagna o fra le fredde nebbie della bassa pianura, un piccolo cane di campagna dall’espressione dolce e attenta insieme con una figura solitaria e schiva che, senza fretta, s’avviano verso una loro meta misteriosa, osservateli con rispetto: camminano insieme da secoli; il tempo e le vicende umane non hanno scalfito la loro intesa.
Essi vivono ancora, oscuri testimoni di un passato che ritorna.